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Cacciatori di peste suina africana

 

Alcuni puntano il dito contro la densità troppo alta di cinghiali (in Italia se ne conterebbero due milioni). Un'ipotesi refutata dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Keystone / Lino Mirgeler

<Nelle ultime settimane, in alcune aree nei pressi del confine tra Piemonte e Liguria, sono state rinvenute carcasse di cinghiali risultate poi positive al virus della peste suina africana. Si tratta di una malattia che non ha conseguenze sulla salute dell’uomo, ma pericolosa per animali ed economia. La Svizzera ha bloccato le importazioni da queste zone.                                                                          Questo contenuto è stato pubblicato il 20 febbraio 2022 - 09:0020 febbraio 2022 - 09:00                    Marco Gritti>

Lapeste suina africana (PSA) è arrivata nell’Italia peninsulare e gli effetti si avvertono anche in Svizzera, dove sono state innalzate le misure di sicurezza per scongiurare l’arrivo del virus. Il primo caso di PSA è stato confermato il 7 gennaio 2022: si tratta di un cinghiale trovato morto in Piemonte, nel Comune di Ovada in provincia di Alessandria. Da quel momento in poi, le analisi condotte su decine di altri esemplari selvatici hanno portato il bilancio a quota 39 casi, di cui 20 in Piemonte e 19 in Liguria.

A occuparsi di aggiornare i dati e monitorare lo sviluppo dell’epidemia è l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, che pubblica un bollettino quotidianoLink esternoAttualmente non sono stati riscontrati casi di PSA tra i suini, ma soltanto tra i cinghiali.

Viaggio nel cuore della zona infetta

La peste suina africana è una malattia di origine virale, molto contagiosa ed estremamente resistente, che colpisce cinghiali e suini domestici. Innocua per l’essere umano, la PSA può causare gravi danni economici a causa della necessità di abbattere i suini da allevamento e del blocco alle esportazioni di carne e prodotti derivati, come salumi e prosciutti, provenienti dall’area dove vengono riscontrati i casi (la cosiddetta zona infetta). Il virus si trasmette per contatto diretto e indiretto con animali infetti, ma anche l’uomo può essere veicolo di diffusione dell’agente patogeno: sia smaltendo in maniera sbagliata carne e derivati di animali infetti, sia agendo involontariamente come veri e propri vettori del virus attraverso scarpe e indumenti contagiati. Per questa ragione, è proibito entrare nella zona infetta senza una specifica autorizzazione.

Una volta autorizzati dalla Regione Liguria, siamo stati a Campomorone, in provincia di Genova, per incontrare Michele Gardella, cacciatore che da quasi quarant’anni batte questi monti al confine con il Piemonte. Lui è il referente di zona per le Attività di ricerca carcasse - Emergenza peste suina africana e, insieme a un gruppo di colleghi cacciatori, da quando è scoppiata l’emergenza svolge ricognizioni nei boschi alla ricerca di cinghiali morti. Finora la sua squadra ne ha trovati due e le analisi svolte hanno confermato la positività al virus di entrambi gli animali.

Durante la mattinata di ricerche, che si sono concentrate lungo il Rio Gioventina perché, spiega lo stesso Gardella, “gli animali in difficoltà tendono ad avvicinarsi ai corsi d’acqua”, non abbiamo rinvenuto altre carcasse, ma soltanto notato le tracce del passaggio di due o tre cinghiali. “Svolgiamo questa attività come volontari, su richiesta dell’Ambito territoriale di caccia (ATC) di Genova, cioè l’ente che organizza e programma l'attività venatoria e di gestione della fauna selvatica in quest’area”, prosegue. “Siamo consapevoli che in un certo senso andiamo contro il nostro interesse - aggiunge Gardella - nel senso che, se dovessimo trovare carcasse infette, qui per mesi non si caccerebbe più. Ma pensiamo che questo lavoro vada fatto con coscienza e con serietà e crediamo che la nostra conoscenza del luogo e delle abitudini dei cinghiali possa aiutare nelle ricerche”

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